“Lo sai perché mi piace cucinare?”

“No, perché”?

“Perché dopo una giornata in cui niente è sicuro, e quando dico niente voglio dire n-i-e-n-t-e, una torna a casa e sa con certezza che aggiungendo al cioccolato rossi d’uovo, zucchero e latte l’impasto si addensa: è un tale conforto!”

Julie&Julia

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domenica 20 marzo 2022

Giuseppina Torregrossa: "Panza e prisenza".

 



Panza e prisenza”, il nuovo romanzo della scrittrice siciliana Giuseppina Torregrossa, è un giallo ambientato a Palermo durante un’estate rovente con il sole che picchia implacabile per tutto il giorno e “al tramonto l’umidità del mare cala sulla città come rugiada”.

Il principe del foro Ruggero Maddaloni (“uomo di gusti semplici”) viene ucciso davanti al Palazzo di Giustizia dopo aver terminato la sua ultima arringa che “aveva consumato tutte le sue energie”. Un altro omicidio eccellente “O tempora! O mores!” la cui notizia appena “il sangue cominciò a lambire le macchine posteggiate lungo la carreggiata”, attraversa la città di bocca in bocca grazie agli informatori. “Palermo è una fitta rete di suoni”. La moglie di Maddaloni apprende della morte del marito poco dopo mentre “la minestra aveva cominciato già a scuocersi nella zuppiera, regalo di nozze della zia Santina”. Il vicequestore aggiunto Maria Teresa Pajno detta Marò del Commissariato dell’“elegante quartiere Politeama” viene incaricata di far luce sull’“efferato omicidio”. Il questore di Palermo Lobianco e il sostituto commissario Rosario Sasà D’Alessandro dal “carattere spigoloso e fumantino” aiutano la collega alla sua prima indagine importante.

I tre poliziotti sono legati da una profonda amicizia nata durante i primi anni di servizio in Aspromonte. Lobianco e Sasà, affetto da “rinocongiuntivite vasomotoria” si commuove quando “prova uno stimolo sensoriale particolarmente forte”, sono attratti da Marò “a entrambi piaceva lo stesso tipo di femmina tutta minne e culo”. Anche la formosa e mediterranea commissaria prova attrazione per i due uomini ma per non ferirli non si concede a nessuno dei due.

Il triangolo amoroso aggiunge un pizzico di erotismo a una storia ben caratterizzata, come scenario Palermo che odora di fragranze orientali provenienti dal mercato di Ballarò. Marò “dalle grandi minne e dai fianchi sinuosi” è un’ottima cuoca, la sua bulimia gastronomica le fa cucinare delizie tutte da gustare descritte in sette ricette presenti nel libro.

“Ti saluto Sasà ma questa sera ti aspetto per cena... ”.

“E che ti porto, Marò?”.

"Niente Sasà, panza e prisenza”

per dire porta te stesso e il tuo appetito. Gli inviti a pranzo proseguono e nello stesso tempo avanzano le indagini della commissaria, ostacolate dal ventre molle del potere cieco e misogino palermitano.





Madre di tre figli, vive tra la Sicilia e Roma, dove ha lavorato per più di vent'anni come ginecologa, occupandosi attivamente, tra le altre cose, della prevenzione e cura dei tumori al seno.
Nel 2007 ha pubblicato il suo primo romanzo, L'assaggiatrice e con il monologo teatrale Adele ha vinto nel 2008 il premio opera prima "Donne e teatro" di Roma. Tra gli altri suoi romanzi ricordiamo Il conto delle minne (Mondadori 2009), tradotto in dieci lingue, Manna e mieleFerro e fuoco (Mondadori 2011), Panza e prisenza (Mondadori 2013), La miscela segreta di casa Olivares (Mondadori 2014), ll figlio maschio (Rizzoli 2015), Cortile nostalgia (Rizzoli 2017), Il basilico di Palazzo Galletti (Mondadori 2018), Il sanguinaccio dell'immacolata (Mondadori 2019), Al contrario (Feltrinelli 2021) e Morte accidentale di un amministratore di condominio (Marsilio, 2021). Nel 2015 è stata insignita del Premio Baccante. Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.

giovedì 3 febbraio 2022

Nuovi contenuti sul mio blog.

Con questo post do inizio ad una nuova rubrica sul mio blog. Ogni domenica posterò la recensione di un libro che narra di cucina e cibo, perchè la lettura è il cibo dell'anima. Stasera vi propongo


TUTTO INIZIA E FINISCE AL KENTUCKY CLUB di BENJAMIN ALIRE SAENZ

Sellerio Editore Palermo




Un bar di altri tempi, a pochi isolati dal ponte che unisce due città e due nazioni estremamente diverse, è al centro di sette storie collegate fra loro. Storie di confine, che a volte è un muro invalicabile, altre una via di fuga.
Due città che si guardano in faccia: negli Stati Uniti c’è El Paso, in Messico Ciudad Juárez. Considerata la più violenta area del mondo al di fuori delle zone di guerra, Juárez è stata raccontata da Roberto Bolaño ne I detective selvaggi e in 2666, con il nome di Santa Teresa. È protagonista, assieme alla città gemella, della serie televisiva The Bridge. Ma soprattutto è il teatro sconvolgente e drammatico di crimini efferati: una sterminata serie di omicidi di donne, oltre 4.000 dal 1993, una imponente guerra fra i cartelli della droga che ha causato migliaia di vittime. El Paso invece, nonostante il nome spagnolo e i pochi chilometri di distanza oltre il fiume Rio Grande, è l’America, è il Nord: un miraggio, uno specchio distorcente, un luna park.
Sospesi tra questi due mondi che in realtà sono un oggetto solo, un esempio paradossale e perfetto dei conflitti che attraversano le società contemporanee, si muovono i protagonisti di Sáenz: uomini e donne, giovani e anziani, che cercano di vivere e di sopravvivere. Attraversando il dolore e il rimorso, la mancanza e il desiderio. Lottando per trovare e mantenere l’amore, quello dei propri cari, di genitori che li hanno salvati o distrutti, degli amici con cui hanno trascorso il tempo, dei compagni e delle compagne di una notte. Tra loro c’è sempre una barriera, come tra le due città, che può essere reale o immaginaria, sancita dal sesso o dalla ricchezza, una linea che divide la luce dall’oscurità, l’abisso che separa il sano dal tossico. Ma al Kentucky Club, magari solo per una notte, queste divisioni sembrano affievolirsi. Inglesi e spagnoli, gringos e messicani, omosessuali ed etero, poveri e ricchi, anche loro si guardano in faccia, si raccontano una storia e finiscono di bere un altro bicchiere. Poi, se ce l’hanno, tornano a casa, attraversano di nuovo quel ponte, forse per non incontrarsi mai più.


L'AUTORE 




Benjamin Alire Sáenz è nato nel 1954 a Old Picacho, in New Mexico. Presidente del dipartimento di Scrittura creativa alla University of Texas di El Paso, dove vive, è artista e poeta, narratore e autore di libri per bambini, premiato con la Wallace Stegner e con la Lannan Poetry Fellowship per le sue opere di poesia, e finalista al Los Angeles Times Book Prize.

martedì 1 febbraio 2022

Perchè gli ultimi tre giorni di Gennaio sono detti "Giorni della Merla".

Come tutti sappiamo, gli ultime tre giorni di Gennaio sono detti "Giorni della Merla". Ma perchè? Un'antica leggenda ce lo piega. 




Sono diverse le leggende che si raccontano dietro a queste tre giornate, note come le più fredde dell'anno. Sono storie che tentano di spiegare anche l'origine della differenza di genere nei merli, dove i maschi sono tutti i neri mentre le femmine sono grigie. Si narra che una merla, arrivata alla fine di gennaio, si fosse presa gioco di questo mese tanto gelido che per lei era ormai alle spalle. Gennaio però, sentendosi offeso, rubò tre giorni particolarmente freddi al mese di febbraio per punire la merla.

Il camino e la fuliggine sono elementi ricorrenti nelle storie legate ai tre giorni della merla. La storia più popolare è quella di una merla che, per tenere al riparo i proprio pulcini, costruì il nido in un camino. Per tre giorni lasciò i piccoli nel nido e, quando tornò, li trovò tutti neri di fuliggine.

Una delle più fantasiose ha come protagonista una bellissima merla bianca che il 29 gennaio, dato il grande freddo, cercò riparo nel comignolo di una abitazione: dopo 3 giorni uscì e le sue piume da soffici e candide, erano divenute nere a causa della cenere. Essendo anche, l'unica merla sopravvissuta al grande gelo, la leggenda vuole che da quel momento tutti i merli ebbero quel colore di piumaggio

La leggenda per bambini

Dovete sapere che i merli, un tempo, avevano delle bellissime piume bianche e soffici. Durante il gelido inverno, raccoglievano nei loro nidi le provviste per sopravvivere al gelo, in modo da potersi rintanare al calduccio per tutto il mese di gennaio. Sarebbero usciti solo quando il sole fosse stato un poco più caldo e i primi ciuffi d’erba avessero fatto capolino tra i cumuli di neve.

Così, aspettarono fino al 28 di gennaio, poi uscirono. Le merle cominciarono a festeggiare, sbeffeggiando l’Inverno: anche quell’anno ce l’avevano fatta; il gelo, ai merli, non faceva più paura! Tutta questa allegria, però, fece infuriare l’inverno, che decise di dare una lezione a quegli uccelli troppo canterini: sulla terra calò un vento gelido, che ghiacciò la terra e i germogli insieme ad essa. Perfino i nidi dei merli furono spazzati via dal vento e dalla tormenta.

I merli, per sopravvivere al freddo, furono costretti a rintanarsi nei camini delle case. Lì, il calduccio li riscaldò e permise loro di resistere a quelle giornate. Solo a febbraio la tormenta si placò e i merli poterono riprendere il volo. La fuliggine dei camini, però, aveva annerito per sempre le loro piume bianche: fu così che i merli divennero neri, come li possiamo vedere oggi (Qui l'articolo).